Dire “Ti lascio” non è facile. Neanche prendere la decisione, e scriverlo? Come? Che parole utilizzare? Viene da pensare che qualsiasi modo si scelga non possa venire bene, tanto vale mandare un messaggio… Però, ci sarebbe un famoso detto di George Bernard Shaw, che dice:
«Per ogni problema complesso, c’è sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata.»
Intanto non cominciamo subito con il “Ti lascio”. Scrivendo una lettera utilizziamo la comunicazione verbale allo scopo di chiudere una storia:
Contenuti
Ciao Alberto
Sai, l’altro ieri ho guardato fuori dalla finestra e ho visto un cavallo bianco che trainava una carrozza. Pensavo di sognare, lo seguivo con lo sguardo e continuavo a dirmi: «Lo vedo, è vero». Quasi volevo pizzicarmi ma poi ho sentito lo scricchiolio in pentola, ho lasciato perdere e sono andata a vedere se il cibo si stesse bruciando. Di nuovo!
Poi sono tornata a pensare al cavallo bianco. Ormai avevo spento il fuoco e mi sembrava incredibile che fuori fosse passato un cavallo. Era una coincidenza, stavano facendo delle prove, te lo spiegherò dopo.
«Che cosa sto facendo?»
mi sono chiesta. Tu non saresti neanche venuto a pranzo. Avevi chiamato poco prima dicendo che avresti dovuto finire per forza del lavoro e non sapevi fino a quando. Eri di fretta, lo ricorderai, la chiamata l’avevi conclusa subito. Io invece avevo già cominciato a cucinare e penso di aver lasciato scivolare il cellulare sulla poltrona proprio in quel momento, quando mi sono fermata davanti alla finestra a guardare il cavallo, bianco.
Se tu fossi stato a casa quel giorno, mi avresti detto che mi ero distratta ancora una volta e, invece di pensare al pranzo, che penso ai cavalli. Sì, certo, ma c’era anche una carrozza, capisci? E tu, forse, mi avresti chiesto cosa c’entrava.
Sono delle coincidenze strane. Io stavo preparando il pranzo, il pranzo numero 1991, almeno. Mi chiamo Anna, e tu non sei neanche arrivato alla probabile cena 1991. Sono grandi numeri. Sto facendo un conto così, approssimativo, perché è ovvio che io non li abbia segnati, i pranzi e le cene che ho preparato in questi anni.
I cavalli vanno avanti. Hanno i paraorecchie, che servono a proteggere dalle mosche e dal rumore. Questa dei fastidi non la sapevo, solo che vanno avanti e non contano.
Forse l’altro ieri,
te l’avrei detto, o forse ti avrei solo raccontano la mia giornata, se non fossi tornato così tardi. Non parliamo tanto, le mie giornate passano da sole.
Forse potevo dirtelo anche ieri mattina, ma mi sono svegliata con un gran mal di testa e volevo solo che mi passasse, e tu ancora di fretta, sei sparito. Ho fatto la doccia, mi sono vestita e ho deciso di prepararmi una borsa. Poi ho chiamato mia madre, tornava da una gita. Sono stata breve, anche se lei voleva che io fossi sicura, pensava che io potessi ancora cambiare idea. No, non ho cambiato idea, infatti adesso ti scrivo questa lettera e poi andrò da lei.
Sai, dopo ho saputo che il cavallo che portava la carrozza faceva una prova per un funerale. Triste, come me che stavo preparando un pranzo che tu neanche avresti mangiato. Me lo sentivo, il cavallo doveva essere vero.
Non stavo sognando, è da tanto che ho smesso di sognare. Negli ultimi tempi avevo spesso mal di testa. Dovevo uscire più spesso a prendere aria. L’hai detto anche tu una volta, credo. Io invece non ho neanche provato a dirti tutto, ultimamente non finiamo neanche una frase. Alberto, mi dispiace.
Una lettera per chiudere una storia
fa male. Lo so. Si tratta della nostra storia. Anche a me fa male, nonostante sia io a scriverla. E malgrado, forse, sia preparata. Io e te lo sappiamo già. Io e te non finiamo una frase. Ormai condividiamo così poco e quello che è rimasto, Alberto, non posso lasciarlo qui. Aspettare e aspettare che un giorno arrivi un cavallo per portarlo in fondo al paese. Non posso, non posso rimanere ad aspettare. Non riesco a preparare più un solo pranzo inutile.
Sì, la chiudo così. Una lettera per chiudere una storia come la nostra non sarà il massimo, ma adesso non ce la faccio in un altro modo. Davvero, Alberto, la mia decisione è definitiva e non posso più rimandare. Mi sento che vado avanti senza vedere quello che mi passa attorno. Sono addolorata e so che dobbiamo parlare, dopo tanto tempo non si può chiudere con una lettera, ma adesso devo fare qualcosa per i miei dolori e resterò in casa di mamma e ti chiamerò io.
Anna
La lettera “ti lascio”
La lettera “Ti lascio, Alberto” è un esempio per chiudere una storia, nel dire ma non dire. Limitare, prima di affrontare, una gestione delle parole con un testo di fantasia. Una protezione davanti le emozioni forti.
Come abbiamo detto all’inizio, è complesso, si comincia sempre con le parole per produrre contenuti testuali. Formulare e riformulare appositamente, con un linguaggio e uno stile secondo l’intenzione dello scrivente. Casi in cui va bene “dire e non dire”, ma con l’obbligo di essere esaustivi. Utilizzare la comunicazione verbale per ottenere un risultato. In questo caso chiudere una storia, far capire che è quello che abbiamo deciso.
Che sia una lettera, un comunicato, un racconto, pure per compilare un documento, da come lo scritto viene recepito e dipende se finirà o no nel cestino. In ogni caso si tratta di una trasmissione di noi e del valore che gli diamo.
La lettera per chiudere una storia, specialmente se di lunga data, può essere solo il primo passo, ma se comprenderà le nostre emozioni, ci aiuterà a poter affrontare i chiarimenti seguenti.
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Benvenuti, mi chiamo Veronica Petinardi, sono nata a Praga e anche se scrivo in italiano mi sono tenuta il mio “accento di lingua madre”. Pubblico articoli, narrativa e manuali sul sito Parole di legami. La mia specialità sono le parole, scrittura è la mia passione.