Cinema, impoverimento e globalizzazione

Tra andare al cinema o guardare un film in streaming, vince la comodità della casa. Le sale sono semivuote e nelle case spuntano i videoproiettori. Ma, cos’è che guardiamo? Anche l’intrattenimento è malato di globalizzazione, mancanza di fondi o idee interessanti da realizzare? Oppure è tutto questo e anche di più?

I fattori che hanno portato a questa delusione emotiva provengono da diversi settori. All’inizio di questa catena ci sono scrittori e sceneggiatori, insieme a tutti i professionisti e operatori del sistema fino alle produzioni cinematografiche. Tutti a combattere le problematiche esistenziali, gli approcci economici e promozionali. In poche parole: far quadrare i conti e accontentare il mercato. Il prodotto spesso ne risente. Il pubblico vuole intrattenersi, rilassarsi dopo il lavoro, poter sognare qualcosa, essere immerso in una storia interessante. Invece…

In Italia, la filmografia accessibile al grande pubblico, oltre alla produzione locale, è soprattutto quella americana. La reperibilità delle visioni cinematografiche non solo dagli altri continenti ma anche dalla stessa Europa è piuttosto esile. Ed è un peccato, perché proprio tramite la cinematografia ci si può immergere nella cultura altrui e, di conseguenza, avvicinarsi. Si sente sempre più chiaramente la mancanza di connessione tra lo spettatore e la narrazione. Troppe aspettative o poco impegno?

E viene da chiedersi, come mai, se stiamo vivendo nella globalizzazione? Quella che si occupa di commercio e transazioni, movimenti di capitale e di persone, diffusione della conoscenza. Quella che dovrebbe “servire all’unione dei modi di vivere e di pensare su scala mondiale, aumentando la diffusione delle tecnologie e della comunicazione”.

Inoltre, si intende andare verso “la maggiore possibilità di sviluppo, libertà culturale, progressi tecnologici, nell’istruzione e formazione, con la competitività e libera concorrenza”. Resta che di base si tratti della creazione di un mercato economico terrestre, per adesso. Solo che ad oggi il mercato viene governato saldamente da parte delle diverse potenze mondiali, non unificate, in contrasto tra di loro sia culturalmente sia per la condivisione di un qualsiasi dominio.

Cinema, impoverimento e globalizzazione

Non ci addentriamo nella politica, ma se è vero che la globalizzazione, oltre alla fatturazione, tende al miglioramento della comunicazione, in tal contesto rivendicherei un’offerta della filmografia (non solo documentaristica) nordeuropea, africana nonché del Medio Oriente o cinese. Di certo sarebbe utile cominciare almeno a sbirciare le culture diverse e riuscire a capire qualcosa di più sulla globalizzazione. Almeno che la globalizzazione non sia a senso unico, almeno che non si ritenga che avvicinarsi alle altre culture diverse dalla occidentale non sia economicamente vantaggioso…

Confronto

Forse la propaganda della globalizzazione si preoccupa di mettere le diverse vite a confronto, i contrasti economici della ricchezza aumentata da una parte e povertà ormai arrivata di fronte alle porte benestanti? Abbiamo già a disposizione i confronti “testati” da diversi secoli, mai portati a una unificazione: le religioni. E tanto per dirne un’altra, non ci scandalizziamo più dell’ostentazione della ricchezza sui social e nemmeno dei senzatetto nel parco sotto casa.

Possiamo notare gli effetti della globalizzazione sui beni di largo consumo come il cibo, l’abbigliamento, le valigie… ma anche sulla produzione cinematografica. L’esagerazione delle economie big riversa i loro prodotti ovunque, come quella dei bugiardini delle medicine. Nessuno sa cosa sta mangiando, ignaro pure di come i vestiti siano stati confezionati e da quali materiali riciclati siano reperiti.

Quello che forse ci sfugge è proprio la diffusione delle informazioni. Di fatto, da tempo i quotidiani non sono più l’unica fonte di aggiornamenti, ma si possa rivolgere altrove, soprattutto se si sta attenti a verificare le fonti. Si può anche recuperare la comunicazione tra le persone, semplicemente chiedendo.

Una volta si viaggiava per scoprire la differenza, vista come una novità. Spostarsi era legato a un divertimento, una sorta di andare alla scoperta del prato del vicino non solo fin quanto poteva essere più verde, da invidiare o copiare, ma era legato a un desiderio e appagamento nella sorpresa.

Cinema, impoverimento e globalizzazione

Era un’esperienza immersiva al punto di volerci ritornare, anche per mangiare il cibo cucinato lì, in quel diverso modo con gli ingredienti di quel posto.

Si ritornava a casa e si copiava qualcosa che diventava virale tra i familiari e amici. Era promozione davvero genuina, provocava il desiderio di scoprire, rivivere queste cose in persona. E quando ci si arrivava sullo stesso posto, si viveva una percezione assomigliante, ma personale. Perché noi non siamo tutti uguali.

Connessioni da lontano

Perché noi abbiamo la capacità di percepire la differenza e di poter decidere in persona come viverla. Le sorprese, una volta, si trovavano dietro un angolo. E oggi, anche i clip promozionali sono diventati scontati, e di conseguenza noiosi. Ci siamo connessi da lontano il cerchio di arrivarci in persona si è chiuso.

A quanto pare, siamo tornati a essere considerati una massa manovrabile e portabile agli stessi obiettivi tramite le stesse visioni. Una quantità di gente che si muove in un perimetro della propria nazione – come all’interno di un regime. Le persone che si spostano in una nazione acquisita – come emigrati. Viviamo in un’appartenenza a un allineamento di una comunità dell’”Unione” dominante in un determinato luogo.

In questo contesto, nonostante molti di noi non abbiano mai messo il naso negli States, siamo assuefatti alla cultura anglofona, però ci possiamo sentire inclusi “grazie” agli orizzonti allargati dai social. Un copia e incolla con un click, perché ci si dovrebbe alzare?

Estro delle narrazioni

Ho già scritto delle narrazioni “prestate” dall’idea di Sandman, originariamente proveniente dal Nord Europa.

Cinema e impoverimento


Ora ho un altro esempio della serie TV americana The Killing di Veena Sud, prodotta dalla Fox e trasmessa dal 2011 a 2014. Come scrivono in Cechia, la versione americana è stata “ispirata” alla serie originale danese Forbrydelsen – “delitto”, ideata da Søren Sveistrup e prodotta da Network DR1 e trasmessa dal 2007 a 2012. Fuori dalla Danimarca anche la serie originale danese viene chiamata “The Killing” e purtroppo è difficilmente reperibile su Amazon, dove risulta in catalogo insieme con la versione americana.

Ho potuto vedere la serie danese con i ritmi autentici e i primi piani della regia che valorizzano l’interpretazione degli attori. Uno stile nordico che porta lungo le narrazioni coinvolgenti, ci fa partecipare in prima persona. Si ragiona sulla trama che prosegue, sui comportamenti e anche l’espressività degli interpreti che aiutano nel comporre i tratti caratteriali. Si fanno le previsioni che verranno smontate alimentando la curiosità dello spettatore. Un intrattenimento puro.

Riproduco la frase che riassume il messaggio della prima stagione, ma si potrebbe dire anche la punta dell’iceberg della globalizzazione: “In ognuno di noi c’è più cinismo di quanto ci illudiamo. Forse l’uomo vorrebbe cambiare qualcosa, ma alla fine deve mantenere il potere, perché è quello che vuole, da sempre.”

Beffarda indifferenza

Quando noi europei continuiamo a “viaggiare nel trend” inglese, linguaggio non solo tecnologico della nazione dominante dell’Occidente, veniamo sommersi dalla cultura inglese che sta introducendo un nuovo modo di esprimersi. Ci viene chiesto di ottenere un power, di avere una vision, di dedicarsi alla total immersion in qualcosa, dritti verso gli obiettivi.

E poi c’è questo orientamento del “non violento”. Iniziativa lodevole se non fosse utilizzata per i fruitori che già si considerano non violenti. Invece, nelle vie delle comunità racchiuse in sé, nei ghetti pieni di aggressività e linguaggio prepotente, direi, questo intento arriverà difficilmente.

Anche la realtà cinematografica si sta staccando dai “brutti”. Il nuovo percorso hollywoodiano, e di conseguenza europeo, non si ferma solo sul linguaggio; opera anche nell’inserimento degli attori culturalmente lontani dalle narrazioni europee. Sarebbe forse questo l’intento della “maggiore possibilità della libertà culturale” come da citazione dei punti della globalizzazione (di sopra)? Sarà troppo di tanto o di niente?

Cinema, impoverimento e globalizzazione

Visivamente questa operazione è un tantino sconcertante. Per dare un esempio: l’ultima Sirenetta della Disney forse durante le proiezioni al cinema non aveva sorpreso i piccoli fruitori, ma i loro genitori o insegnanti hanno trovato qualcosa da dire sul racconto. I protagonisti possono anche svolgere il loro lavoro magnificamente, ma essere collocati in un contesto che storicamente e con una buona parte della probabilità non gli appartiene, non dà l’idea della connessione naturale, perché prevale (ancora) il senso del non siamo tutti uguali e abbiamo percezioni differenti.

Di conseguenza ci sentiamo straniti e facciamo fatica ad essere coinvolti. È come mangiare quel cibo fuori dalla sua origine dov’è stato cucinato per generazioni e poi viene fuso in una cucina chiamata “internazionale”, ovvero globalizzata, e solo vagamente ricorda qualcosa che una volta fu.

Il fondo del barile

Vedere le operazioni della globalizzazione in virtù di pura esecuzione o svolgimento di un lavoro a scopo di intrattenimento in un contesto di cambiamenti epocali sarebbe riduttivo. Però ci troviamo confusi. Si deve cercare di mantenere i valori della tradizione oppure osannare l’adeguamento della contemporaneità?

Insomma, dateci un’alternativa contro il raschiamento del barile delle idee. A sfavore dei continui ritornelli e risciacqui dei soliti Sherlock Holmes, Romei e Giuliette, finali buonisti, tanto per citarne, casualmente, le produzioni inglesi. Di uno pseudo medioevo londinese con gli interpreti dell’etnia africana. Per non parlarne dell’idea di riscrivere i libri storici, sempre della lingua inglese, per un utilizzo globale.

“Anche i libri di A. Christie per tener conto delle sensibilità contemporanee eliminando quindi termini al giorno d’oggi ritenuti offensivi e razzisti.” Però i termini che all’epoca in cui i libri erano scritti erano all’ordine del giorno. E continuare sul piano dei libri, nonostante a me molto caro, ci si finirebbe inevitabilmente nella polemica sul mantenimento della memoria storica di fronte ad una contemporaneità in costruzione, che potrà diventare ancora qualcosa di diverso per altre motivazioni per riscrivere.

Cinema, impoverimento e globalizzazione

Per fortuna è ancora possibile coltivare le radici e la cultura a proprio piacimento grazie all’internet. Navigare nella storia della filmografia o sbirciare nelle produzioni straniere, non anglofone. Riuscire a trovare ancora qualcosa di diverso, o anche sorpassato e dimenticato. Qualcosa che fa parte degli elenchi del cinema cult. Un cinema che seguiva i dettami dei periodi più lunghi, così chiari adesso, al contrario dell’intrattenimento frettoloso d’oggi, che probabilmente comprenderemo più avanti.

Impoverimento cinema

Mi è venuta una tristezza nel vedere lo smantellamento di un cinema in una delle vie importanti del centro di Torino. Voglio sperare che ci sarà qualcosa di nuovo rivolto sempre all’intrattenimento e all’aggregazione. Qualcosa che non ha fatto demolire una sala cinematografica perché fosse retrò, ma che invoglierà la gente a stare insieme. Un bel motivo, che non sia la mera presenza davanti alla proiezione, dove non conta vendere più popcorn possibile e far scartare le caramelle per arginare le perdite nelle vendite dei biglietti.

Sarebbe anche bello poter accedere alla diffusione della cultura sia passata che contemporanea dei paesi africani, cinesi o del Medio Oriente e perché no di quella russa?

Cinema, impoverimento e globalizzazione

Tanto per capirsi, e comprendersi al meglio. Lo so che il cinema è un’arte e come tale ha i suoi velli, un racconto modificato e strumenti per veicolare un’ideologia tramite un messaggio. Però non guasterebbe un passo in avanti per far comprendere a scopo di incuriosire, a voler conoscere, poter capire una cultura diversa. In una diffusione che non va oltre poche iniziative dei cinema teatrali che proiettano le opere d’autore.

In questo modo, presumo, senza togliere l’importanza al cibo, la globalizzazione avrebbe un senso sia per i consumatori che per lo sviluppo dell’arte cinematografica. Un confronto. Non lo strozzinaggio economico e delle imposizioni ideologiche del politically correct. L’intrattenimento, quella parte della giornata così importante per un rilassamento, ne avrebbe giovato. Sarebbe potuto tornare ad essere un divertimento con la sorpresa – di quella “sospensione dell’incredulità”, che fa parte di un buon racconto.

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Categorie: Divertimento
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